lunedì 30 marzo 2015

Ti troverò ai confini del cuore - Capitolo 3


Pervaso da un indescrivibile sensazione di benessere Alex avvertì un brivido caldo corrergli veloce lungo la schiena. Non conosceva quel volto. Non sapeva nulla di quella donna. Non l’aveva ma vista prima di allora. Eppure quegli occhi gli erano terribilmente famigliari. Li conosceva. Li aveva già incrociati. E lì, fissi e immobili dentro ai suoi, parevano come un mare immenso in cui sentiva d’essersi già specchiato un’infinità di volte. Ma che mare può essere quello che non conosci e che non sai come attraversare? Se lo chiedeva con un espressione camuffata di finta consapevolezza, mentre la donna stringeva con le mani rugose le sue.  

Intorno a loro, il nulla. Avvolto in un tutto che bramava solo di trovare un significato.

Stava succedendo esattamente quanto la “Signora dei Sogni” gli aveva rivelato. “Tutto accadrà quando meno te lo aspetti!”. Ma porca miseria!? Almeno una traccia in più. Come lo poteva risolvere il caso della sua esistenza se non gli dava mai nemmeno un piccolo indizio? E invece sempre vaga. Lei. Sempre ermetica. E Alex, manco travestendosi da Sherlock Holmes riusciva a indovinare quale fosse la pista giusta da seguire.  

Più di una volta aveva pensato che forse Lo Smilzo aveva ragione e che quel viaggio era solo una follia. E in quei momenti provava nostalgia per ciò che si era lasciato alle spalle. Chissà com’era andato il torneo di calcetto! Chissà se quelli del gruppo avevano trovato un nuovo chitarrista per rimpiazzarlo. “E che sia solo una sostituzione temporanea, intesi? Io tornerò!” Chissà se suo padre si era chiesto almeno una volta dove fosse e come stesse. 
A volte gli mancavano persino i pomeriggi abulici romani, sempre quelli dei suoi quindici anni. Quelli che quando iniziavano dopo pranzo non vedevi già l’ora che arrivasse la sera, perché Nicole non c’era, visto che doveva uscire con questo o incontrarsi con quello. E tu sapevi già che non l’avresti sentita e avresti passato le ore successive in compagnia di un vuoto profondo da provare a riempire. Non vedevi l’ora che arrivasse la sera perché forse ti avrebbe chiamato. E allora, per coprire la nudità della sua assenza, prendevi la chitarra e cominciavi a musicare i tuoi pensieri. Per fare di una poesia una canzone. Ma ti accorgevi che parlavi sempre di lei. Che lei era la nota di ogni accordo e la parola di ogni strofa. E allora smettevi. Ripetendoti che scrivere non faceva per te. Non ti piaceva. Forse nemmeno suonare. Anche se le corde erano il solo posto in cui le tue mani si  sentivano a casa loro. Ma c’era lei. C’era sempre lei, anche lì. Era lei che le tendeva o allentava.  
Quindi posavi la chitarra. E ti tuffavi nelle poesie vere. Quelle degli altri, però. Perché i poeti Nicole nemmeno la conoscevano e con loro potevi riuscire a non pensare a lei. Ti stendevi sul letto. Prendevi il libro. E mentre Jimi Hendrix ti guardava fisso da quel poster, cercavi una poesia che non parlasse d’amore. Per non pensare a lei. Ti tranquillizzavi. Ma poi, al secondo verso, il ritornello di sempre. La trovavi anche lì. Anche dove non si parla d’amore, ma di vita, in generale. La trovavi lo stesso, perché per te la vita era lei. In generale. E pure in particolare. Allora lanciavi un urlo e cambiavi testo. Poesie sull’amicizia. Poteva andare. Lei era il tuo amore. Lì non ci sarebbe stata. Arrivavi quatto quatto fino alla fine. Ti rilassavi. E poi “puff”. Lei compariva all’ultima rima. “E dove uno sguardo trasmette calore, tu sei perduto, perché schiavo d’amore!”. 
E allora comprendevi che eri perduto e forse un giro in centro e un paio d’ore in sala giochi erano meglio di musica e poesia. Forse in sala biliardo con Lo Smilzo sarebbe stato più facile non pensare a lei. A meno che il tuo sensibilissimo amico non se ne fosse uscito con la solita battuta da deficiente “Se metti la 8 in buca prima di me Nicole sarà tua entro la fine della settimana!”. Cosi che, pur non dandogli retta, la stecca ti tremava ogni volta che puntavi la 8. E puntualmente non c’entravi la buca.

Aveva vagato per giorni in cerca di uno sguardo in cui trovare la verità delle parole della Signora dei Sogni, ma nessuno dei volti in cui si era imbattuto gli aveva trasmesso niente di particolare. Fin quando, all’improvviso, quegli occhi erano giunti da lui. Senza dargli alcun preavviso. Tipo quando si dice che “se tu non vai alla montagna è la montagna che viene da te.” O una roba del genere. In quello stesso istante aveva promesso a sé stesso che non avrebbe più dubitato di niente. Che ogni volta avrebbe avuto pazienza. E che da quel momento in poi si sarebbe lasciato trascinare dalla corrente degli eventi. Godendosi quell’avventura che forse manco uno sceneggiatore avrebbe potuto rendere così intricata e travolgente.  

Tutto era accaduto in un momento e in un luogo inaspettati. E soprattutto quegli occhi si erano materializzati in un corpo inatteso. Aveva fantasticato per giorni su donne giovani e piacenti. Vuoi mettere che sballo sperimentare la ricerca di te stesso tra curve mozzafiato e misure da modella! Ma ora si trovava lì con una persona anziana che col fascino e la bellezza aveva chiuso i rapporti chissà quanto tempo prima. Anche se il suo volto vissuto non tradiva il fatto che forse un tempo era stata bella anche lei. 
In una città in cui tutto lo riportava all’infanzia e a sua madre, all’inizio aveva creduto di incontrare un viso che in qualche modo gli avesse potuto ricordare lei. Aveva sognato di poter ritrovare Margareth grazie ad un misterioso incantesimo divino, che l’avrebbe riportata in vita per trasmettergli questo o quel messaggio. O semplicemente per stringerlo fra le sue braccia per un’ultima volta. E invece niente di tutto questo. Niente “pischella”da paura. E niente mamma dal mondo degli spiriti. Bensì una vecchia sconosciuta che lo guardava come fosse una visione o l’incarnazione di un principe uscito dalle favole. Cavolo! Chi l’avrebbe detto!      
Ma a parte tutto, la cosa più sorprendente era il senso di pace che quella vecchietta riusciva a trasmettergli. E la sensazione, il bisogno inconsulto e travolgente di ascoltarla parlare e di esaudire qualunque desiderio lei esprimesse.

“Ero sicura Charles, che saresti arrivato!” gli disse lei ad un certo punto.

Osservandola bene Alex si accorse che una patina sottile e trasparente le velava un occhio. La donna sicuramente non ci vedeva bene.

“Signora, io mi chiamo Alex. Non sono Charles, forse mi ha confuso con qualcun altro!”

“No ragazzo. Dall’occhio destro ci vedo bene. E tu sei il mio Charles . Inoltre il tuo odore. Ahhhh! Lo riconoscerei tra mille essenze differenti. Tu sei lui. E finalmente mi hai trovata! E’ una vita che ti aspetto!”

Le brillavano gli occhi. Alex non ebbe il coraggio di contraddirla. E da quel momento in poi assecondarla fu la cosa più naturale del mondo. Ma chi era questo Charles? Suo figlio? Suo marito? Chi? Se ci fosse stato Lo Smilzo l’avrebbe sicuramente derisa, trascinando lui via da lì.  Ma quella donna gli faceva un’incredibile tenerezza. Si sentiva quasi ipnotizzato dalla sua fragilità. E non potè fare a meno di darle ascolto.

“ Dobbiamo fare in fretta. Prima che inizi a piovere. Ho tanto da raccontarti. E tu devi ascoltarmi! Ma sono cose importanti. E voglio dirtele là. Nel nostro posto di sempre. Sbrighiamoci. Io non ho più la forza di correre come facevo una volta. Ho quasi ottant’anni. E non ho molto tempo davanti a me. “

Alex la guardava interdetto. Voleva provare a capire. Fingere di sapere. Ma mentre la donna biascicava discorsi che parevano solenni con un filo di voce quasi impercettibile, lui non riusciva assolutamente a seguirla. Ignorava dove volesse andare a parare. E non sapeva come fare per interpretare il ruolo di Charles riuscendo a risultare credibile. Ma sentiva che doveva farlo. Per lei. E per sé stesso. La donna gli indicò con la mano la salita che conduce a Calton Hill. Alex la conosceva bene. Il nonno lo aveva portato tante volte anche lassù. Là, dove la notte le stelle ti sembrano così vicine che le puoi quasi toccare. Là, dove Edimburgo sembra in posa perenne per una cartolina, da qualunque angolo la guardi.  Là, dove se non c’è foschia puoi vedere anche il mare. Là, dove porteresti Nicole e disegneresti nel cielo mille cuori con i riflessi del sole. Se solo lei fosse lì con te.

C’era un po’ di strada da fare. Ma fortunatamente qualcuno un po’ di tempo prima s’era inventato una scalinata per rendere la salita meno faticosa. E in cinque o dieci minuti, potevi essere in cima. Lui la prese sotto braccio. Lei non oppose resistenza. Lo strinse quasi ad aggrapparsi a lui, per una volta ancora. In momenti che si sarebbero riconciliati con l’eternità, come a riprendersi un tempo che la vita gli aveva strappato senza pietà. Era bello poter credere che il destino in fondo alla fine ti può restituire tutto quello che prima ti toglie. Se sai aspettare, pazientemente, quando meno te lo aspetti ti può risarcire di quanto prima ti ha rubato.
Quando arrivarono in cima lei  sembrava un fiore. Nessun affanno. E la stanchezza che prima le rigava il volto  pareva essersi dissolta in quel manto di felicità che le avvolgeva lo sguardo. Il ragazzo le sorrise. Lei gli accarezzò il viso con garbo e tenerezza. E poi guardò lontano. Quindi lo prese per mano e lo condusse dietro il tempietto.

“Ti ricordi quando eravamo ragazzi? Allora, era tutto diverso, qui. Più in là c’era il villaggio. E c’erano le case. Ora è tutto cambiato. Questo tempietto non esisteva e nemmeno quella torre! Ma il punto era là, accanto a quell’albero. Non potrei mai dimenticarlo. Lui c’è ancora. E anche l’aria è la stessa. Profuma di noi come allora. Amore mio, possono tirare su quello che vogliono. Torri e palazzi. Ma certe cose non cambieranno mai. Il cielo e il mare rimarranno sempre gli stessi. ”

Alex annuiva, ma tutto aveva sempre meno senso per lui. “Amore mio” aveva detto, aggiungendo “Quando eravamo ragazzi!” Dunque Charles era un suo coetaneo. Probabilmente il suo compagno. A che tempo si riferiva la donna per non ricordarsi del tempio e della torre? E di quale villaggio parlava? Il ragazzo ricordava dai racconti del nonno che la torre era dedicata all’ammiraglio Nelson e risaliva a inizio diciannovesimo secolo. Mentre il piccolo tempio era il National Monument costruito nel 1822 per commemorare i soldati scozzesi caduti durante le guerre napoleoniche. Come poteva la donna non ricordarli?

“Sediamoci lì, su quel masso tondeggiante!” le disse lei ad un certo punto. 

Il vento soffiava forte e le scompigliava i capelli bianchi sistemati alla meno peggio con qualche molletta di ferro. Il lembo del soprabito scuro di tanto in tanto si spostava, di qua e di là, come danzando sulle sue gambe piegate. Sorrideva. Lo guardava. E sorrideva di nuovo. Alex era felice sentendosi responsabile di quei sorrisi. Un po’ come succedeva quando vedeva Nicole illuminarsi e ridere delle sue cretinate, e finiva per sentirsi un Dio. Si, va bene! Il Dio delle risate. Ma pur sempre di un Dio, stiamo parlando. 

La vista era meravigliosa. Il panorama un incanto. Lassù c’era tutto quello che potevi desiderare dalla vita. Tutti i colori della felicità. L’azzurro del cielo nel blu del mare, mentre un uccello volava, colorando la scia con il giallo del sole. Il verde dell’erba e di ogni speranza, mentre volgendo lo sguardo a ovest trovavi i colori sfumati della città. Il grigio. Il marrone. Il porpora. E un migliaio di indecifrabili sfumature, col castello e la sua poesia a fare da sfondo. Poi guardavi la vecchietta, e sulle sue gote trovavi il rosa della pelle e il rosso dell’emozione. Tutto intorno, il bianco. Il bianco della pace di un momento così sereno che avresti voluto durasse per sempre. Anche se non sapevi cosa ci facevi lì e chi era la sconosciuta con cui stavi condividendo quell’istante di bellezza epocale. Ma la magia è proprio in questo. Quando stai così bene,  non te ne frega niente dei tuoi mille “perché” e a quelle domande risponderai in un secondo tempo. Tanto, funziona così. Ciò che pare assurdo, quando meno te l’aspetti si trasforma nella situazione più normale del mondo.
Ogni tanto qualche turista si avvicinava a loro. Con le reflex e i cellulari per immortalare quello spettacolo. E lui che si diceva “ Che figata la tecnologia che ferma tutto il bello dentro ad un click!”.
Mentre il nuvolone minaccioso che proveniva dal mare si prese quel pezzo di cielo che li sovrastava oscurando il sole e tingendo di nero tutto quello che era sopra di loro, la vecchietta iniziò a parlare. Ogni tanto si voltava come a guardarsi le spalle. Come se temesse qualcosa o qualcuno. Ma raccontò la sua storia tutto d’un fiato senza permettergli in alcun modo di interromperla.

“Ti chiedo perdono. Ti chiedo perdono per non averti detto di lui. Del nostro bambino. Ma quando mi sono accorta di aspettarlo era già troppo tardi. Mi avevano condannata. E per salvare noi. Dovevo fuggire! Avrei voluto avvertirti. Avrei voluto spiegarti. Ma se tu avessi saputo avresti fatto qualche follia e alla fine avrebbero fatto del male anche te. Non potevo permetterlo. In più, quella notte, non ci fu tempo. E correre, senza voltarmi indietro, era la sola cosa che alla fine mi restò da fare!”

Alex era profondamente colpito. Non capiva di cosa la donna stesse parlando. Non sapeva la sua storia da dove partisse e dove fosse destinata ad arrivare. Ma il suo intuito gli diceva che doveva continuare ad ascoltare. E quel senso di vicinanza alla vecchia Emma, così aveva detto di chiamarsi, si faceva sempre più forte, a mano a mano che il racconto andava avanti. Nella voce della donna. Nel suo tono, nel rapido incedere delle sue parole, c’era un immane sofferenza e un peso insopportabile da sostenere per un cuore sgretolato dal calcare dei rimpianti. Aveva bisogno di alleggerirlo, quell’animo. Aveva bisogno di tirare fuori quel macigno che l’aveva logorata per tutta la vita. Lui doveva stare lì. Zitto e fermo. Ad ascoltare.
Lo sguardo malinconico della donna scivolava via,  perdendosi in quell’aria che sapeva di tutto e di niente. 

“ Non so se rammenti il vecchio Paul, il droghiere. Fu lui a nascondermi nel fienile. Poi, non so come fece. Questo lo ignoro. Fece credere ai miei aguzzini che mi ero gettata da una scogliera, lontano da qui, facendo trovare nei pressi del dirupo alcuni brandelli della veste che indossavo. Poi, sempre lui, mi nascose in una vecchia cassa su un carro di mercanti e mi fece andar via, con loro. Proprio all’ora dell’esecuzione. Tanto erano molti i condannati come me. I giustizieri si distrassero e per mia fortuna alla fine tutti si scordarono della mia esistenza credendomi morta e risucchiata dalle onde del mare. In realtà su quel carro trovai la salvezza. Nonostante il viaggio lunghissimo, la fame e la sete, per due giorni e due notti, gli stenti atroci, arrivai in un villaggio molto lontano, dove, ospitata da parenti di Paul, pian piano riuscii a ricostruirmi una vita. Nostro figlio nacque sette mesi dopo. Era bellissimo, credimi. Ed era identico a te. Cosa che avevo sperato durante tutta la gravidanza. Aveva i tuoi occhi e la tua bocca. Ogni volta che lo guardavo mi sembrava di rivederti. E mi sentivo fortunata perché in qualche modo di te m’era rimasto qualcosa. La parte più bella.” 

Sospirò, e riprese subito a parlare.

“ Credimi non c’è stato un giorno in cui io non ti abbia pensato. Nemmeno uno.  Non potevo tornare qui perché avrei rischiato la pelle. Né avvertirti che ero ancora viva. Perché Paul morì poco tempo dopo ed era l’unico a sapere dove fossi. Non potevo fidarmi di nessun altro e avevo il nostro piccolo a cui pensare. L’unica mia speranza era che mi trovassi tu. Ma non successe allora. Perché tu non sei mai arrivato. Però è accaduto oggi. E per me può andar bene lo stesso. Mi posso accontentare. Del resto, certi amori sono fatti così. Hanno più voce quando restano in silenzio. E non è il loro tacere che li rende meno profondi e veri di quelli che si possono vivere. Sebbene siano costretti a spogliarsi di tutte quelle parole che non saranno pronunciate mai. Ma io, nel mio cuore, ti ho urlato amore in ogni istante della mia esistenza. Pur fingendo di non esistere più. Ora posso morire in pace. Ma devo avere il tuo perdono! Per poter chiudere gli occhi serenamente!”

Ovviamente Alex non sapeva cosa dire. Il racconto della donna lo aveva letteralmente spiazzato. Era senza parole. Qualunque pensiero avesse espresso non sarebbe stato abbastanza giusto in quel momento. Perché lui di quella storia, razionalmente, non sapeva nulla. Ma, e la cosa aveva dell’incredibile, si era talmente immedesimato nella parte che in certi momenti si era sentito davvero Charles, pur ignorando tutto di lui e di quella storia apparentemente assurda. In qualche modo sentiva di nutrire un sentimento per quella sconosciuta. E la cosa lo spaventava terribilmente. Era una sensazione irrazionale e inspiegabile, ma aveva la forza di un’onda di mare in tempesta, che s’infrange con violenza sugli scogli del cuore. Non potè far altro che abbracciare la donna. Stringerla al suo petto tenendo le mani fra i suoi capelli. E rimanere così in silenzio, in un tempo che pareva cristallizzato. In istanti così intensi che seppur brevi riuscirono a rivestire quell’amore di tutte le parole non dette e non ascoltate, in una vita intera.

Poi, continuando a fingersi Charles, gli chiese altri dettagli, riuscendo a scoprire, tra le varie cose, che la donna parlava di un epoca molto lontana. Metà del 1600. E la cosa gli parve ancora più assurda. Perché tante sensazioni che Alex aveva avvertito da piccolo, quando il nonno gli raccontava le sue folli storie sull’Edimburgo di quell’epoca lontana, in quel momento si stavano come materializzando davanti a lui. Ma tutto era ancora terribilmente confuso e avvolto da un fittissimo alone di mistero. Poi il ragazzo gli chiese che fine avesse fatto loro figlio e lei gli raccontò che purtroppo era morto a sei anni per una brutta polmonite. Alex pianse, sinceramente, come se quel dolore gli appartenesse davvero. La strinse ancora più forte a sé, e perdonarla per un qualcosa di cui affermò di non averla mai colpevolizzata, fu la cosa più naturale del mondo.

Verità e finzione si erano confuse in modo troppo naturale per non farsi mille domande. Realtà e fantasia danzavano come gabbiani nel cielo in quella mattina che mai il ragazzo avrebbe pensato poter essere così prodiga di travolgenti emozioni. Ma proprio mentre Alex stava per porre altre domande alla vecchia Emma, una coppia di poliziotti insieme ad una donna di mezza età visibilmente agitata sopraggiunsero alle spalle e la tipa urlò a gran voce “Mamma! Ma come sei riuscita ad arrivare fin quassù?”. Emma si staccò dal ragazzo abbassando lo sguardo. La donna e i poliziotti spiegarono al giovane che la vecchietta soffriva di demenza senile e spesso raccontava questa folle storia, affermando di chiamarsi Emma, di essere vissuta intorno alla metà del 1600 e di aver amato questo tal Charles da cui si era dovuta staccare poco prima che ad Edimburgo scoppiasse la peste, perché era stata condannata a morte per non si comprese mai quale ragione. La figlia aggiunse che spesso sua madre riusciva a fuggire dalla casa di riposo in cui era ospitata, e finivano sempre per trovarla ai piedi di Calton Hill dove diceva di aspettare il suo fantomatico Charles. Alex annuì, dicendo di capire la situazione. Ma i conti non gli tornavano. Quanto aveva vissuto in quegli istanti, sebbene apparente frutto delle farneticazioni di una vecchia malata di mente, era troppo reale per essere solo una fantasia.

La donna si avvicinò a lui, lo guardò negli occhi e con un filo di voce, ancora rotta dall’emozione, gli sussurrò in un orecchio:
“Penso che il mio tempo sia scaduto, mi tocca andare via. Ma mi raccomando! Non dimenticarti mai di me. Vivrò in silenzio, dove sono sempre stata,  ai confini del tuo cuore, e quando mi cercherai lì,  potrai trovarmi ogni volta che vorrai. Perchè è proprio in quel posto che anche l’amore che tace ha mille parole e ritrova la voce. Non fidarti delle apparenze. Non sempre tutto è come sembra. Nel fondo degli occhi di una persona , troverai sempre la verità, anche se ti dice una bugia. Ma devi saper guardare negli occhi delle persone, e per potere vedere quello che c’è veramente, devi raggiungere quel fondo. Se arrivi lì, sei ad un passo dal  cuore. Se arrivi lì, e lei ti ama, sei ad un passo dal suo amore! “

Gli diede un bacio sulla fronte e lo accarezzò teneramente, lasciandogli un ciondolo nella mano, mentre una lacrima scendeva giù, lentamente, sul suo viso. La figlia e i poliziotti la presero per le braccia e se la portarono via. Non si voltò più indietro.

Alex rimase lì confuso e frastornato. Il ciondolo rappresentava un simbolo strano che lui non conosceva, ma avrebbe fatto di tutto per capirne il significato. Prima di andar via, volse lo sguardo verso l’orizzonte e pensò che si, Emma aveva ragione, esiste un posto dove anche gli amori impossibili possono trovare la loro possibilità. Là, avrebbe cercato Nicole. Là, un giorno l’avrebbe trovata. Là, nel fondo dei suoi occhi. Esattamente ai confini del cuore.  

(...continua...)

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