sabato 14 marzo 2015

Ti troverò ai confini del cuore - Capitolo 2

Erano giorni che percorreva la città in lungo e largo. Ma di quel qualcuno che doveva salvare non c’era ancora nemmeno l’ombra. E si che Edimburgo di ombre è sempre piena, con tutti quei fantasmi che svolazzano e solleticano le persone in carne e ossa. Ma già cercare due occhi famigliari in una folla di sconosciuti per Alex sarebbe stata un’impresa, figuriamoci dover combattere anche con gli spiriti e cercare in entità trasparenti due occhi che in realtà non si possono vedere. Ma la “signora dei sogni” gli aveva detto di non spazientirsi e lui, che la pazienza non sapeva nemmeno dove fosse di casa, alla fine era riuscito a darle retta, mettendosi a cercare e facendo di tutto per mantenere la calma.

Edimburgo non era molto diversa da come se la ricordava lui. Princes Street divideva ancora la città in due parti, separando la Old Town dalla New Town, come dieci anni prima, quando era stato lì per l’ultima volta. Quasi la spaccava a metà. Un po’ come Nicole aveva fatto col suo cuore, dividendolo in due senza prendersi nemmeno una parte. “E adesso come le incollo!?”
Ci pensava camminando lungo la Royal Mile, nella città vecchia. Ritornava con la memoria alle sue estati  da bambino, quando vivere a Roma ma avere una madre scozzese significava volare tra i kilt e le cornamuse ogni agosto per trascorrere del tempo col  nonno Arthur che viveva da solo un po’ fuori città. Ricordava le interminabili passeggiate con lui, lungo la strada che conduceva al castello. Quelle che sapevano di storia e di whisky al malto e che odoravano di vecchie leggende di spettri e fantasmi che continuavano a popolare i vicoli stretti che si affacciavano sulla via. Ancora oggi, sono là. Quei vicoli. Come a tenere in vita gente che da secoli ormai non c’è più e pezzi di un passato che il tempo non riesce in nessun modo a portare via con sé. Nemmeno se il vento tira forte.

Quando il nonno aveva cominciato a perdere colpi, le storie erano diventate sempre le stesse. Ma ad Alex non dispiaceva sentirle raccontare ancora e fingersi curioso come se fosse la prima volta. Ora gli mancava tanto suo nonno. Gi mancavano tanto anche i suoi racconti sul tempo che va. Quelli che da bambino non ti stancheresti mai di ascoltare, anche se non ne afferri bene il senso.  Perché se pensi alla vita, a quell’età, è guardando i cartoni in tv che ti fai le prime domande. E solo nei fumetti trovi le risposte.  Mentre i grandi ti parlano di futuro o di malinconia, il peggior scherzo che il destino ti possa fare è la maestra che fra le tabelline ti chiede proprio quella dell’otto che tu non ricordi mai. E i momenti del passato da rimpiangere con nostalgia si fermano alla ninna nanna che tua madre ti cantava per farti addormentare e a te che ti perdevi fra le sue braccia, l’unico posto al mondo dove l’uomo nero non avrebbe mai potuto scovarti.

Alex pensava spesso anche a lei. Sua madre. Ai suoi capelli biondi. Alla sua voce delicata. Alla sua pelle chiara che sapeva di lavanda. Ma faceva così male poterla soltanto ricordare, senza poterla stringere a sé, che, il più delle volte, fingere che non fosse mai esistita pareva il solo modo per sentire meno dolore.  
Dieci anni sono troppo pochi per perdere una madre. Margareth se ne era andata in meno di un anno per un male incurabile. Ed Alex era rimasto per mesi a cercarla nel cielo pregando vanamente la notte di farla scendere giù come la più luminosa delle stelle cadenti. Suo padre, che era un facoltoso avvocato romano, tanto impegnato quanto distratto, lo aveva sballottato da una tata all’altra, ricoprendolo di giochi prima e di soldi dopo, senza rendersi conto che ciò che a suo figlio sarebbe servito di più non erano bancomat e carta di credito. Ma un padre. Un padre che di tanto in tanto gli facesse una carezza o gli chiedesse “Come stai?”.
Lui non lo aveva mai capito e col tempo i due si erano allontanati, fin quando il ragazzo aveva deciso di andarsene a vivere per conto suo.

Arrivando nella piazza del castello, Alex si avvicinò al muretto che la fiancheggiava, più o meno nello stesso punto dove il vecchio Arthur lo portava da bambino. Là, riprendevano fiato dopo il cammino. Il vecchio gli mostrava la città vista dall’alto e gli sciorinava le sue grandi verità, tipo quelle che sfilano oggi sui social network tra le ricette di cucina e i link alle pagine di gossip . 
“Ogni parola ha conseguenze. Ogni silenzio anche” (Sartre) oppure “Regala la tua assenza a chi non dà valore alla tua presenza!” (O. Wilde). 
Insomma avete capito. Quelle frasi appiccicate a foto di cieli e tramonti che se tu per vivere meglio le seguissi alla lettera alla fine non avresti bisogno nemmeno di vivere più perché della vita ti avrebbero già insegnato tutto quanto loro. Ecco. Il nonno avrebbe potuto aprire un blog di massime e aforismi se solo avesse saputo usare internet. Le conosceva tutte, frasi famose e regole di vita. 
Avrebbe potuto tenere una rubrica di consigli sui sentimenti, tipo “Posta del cuore”.  E sarebbe stato persino capace di leggere il futuro. Non nelle stelle e nemmeno nelle  mani e o nelle carte. Ma guardandosi attorno. Perché lui il destino lo annusava. E per fiutarne il percorso,  gli bastava solo concentrarsi sul suo odore. E così avreste letto “L’Oroscopo di Arthur”. Una genialata da 1000 visualizzazioni al secondo e un botto di like al minuto. E il nonno sarebbe diventato l’eroe dei suoi lettori, perché le avrebbe sempre azzeccate tutte e non ne avrebbe mai sbagliata nemmeno una.

Nel punto del muretto dove Alex si trovava in quel momento ora c’era un turista giapponese che cercava di catturare la bellezza di quel panorama con i suoi occhi a mandorla e la sua reflex digitale. Ma proprio nei pressi di quel blocco di pietra, il nonno era solito fermarsi, quando aveva voglia di permettere al cuore e alla mente di incontrarsi e prendersi per mano in chissà quale angolo remoto del suo essere. Chiudeva gli occhi e restava in silenzio per qualche minuto. Come se non esistesse nient’altro oltre a lui e a tutto quello che aveva dentro.  Lo faceva sempre. Quasi come fosse un rito. Poi li riapriva. E se ne usciva con la solita frase fatta di verbi e aggettivi  permeati di monumentale solennità . 
“ Figliolo, non smettere mai di guardare lontano. L’orizzonte sembra inafferrabile, come un sogno impossibile da realizzare. Ma in realtà tutti possiamo raggiungerlo. In fondo è solo una linea. La vita è tutto quello che c’è oltre. Quando troverai il coraggio di oltrepassarlo  e andare a prenderti quello che c’è, allora, proprio in quel momento, sarai diventato un vero uomo!”     
   
“Nonno! Per me tutto quello che c’è oltre quella linea si chiama Nicole. Ha i suoi occhi. I suoi capelli. La sua voce. E credimi sarebbe più facile toccare davvero con le mani l’orizzonte che andare oltre a prendermi lei!”

Ecco! Chissà cosa si sarebbe inventato il nonno per riuscire a risolvere questa sua epica impresa impossibile. Chissà a quale poeta o scrittore avrebbe chiesto una mano per dire la cosa giusta. E mentre lui avrebbe frugato tra i versi di una poesia per fare il figo, Alex gli avrebbe tirato fuori la strofa di una canzone moderna per fargli notare che di vita, a vent’anni, cominciava a capirci qualcosa anche lui. Ma ormai il nonno non c’era più e Alex doveva arrangiarsi da solo.  
Erano giorni ormai che non aveva notizie da casa. Dopo aver rassicurato Lo Smilzo che tutto era ok e dopo avergli ripetuto per l’ennesima volta di non raccontare niente a Nicole di quel viaggio, aveva cambiato la scheda al cellulare e si era detto che in fondo era meglio così. Sarebbe stato un po’ come scomparire. Come non esistere. Come ciondolare tra il tutto e il nulla. Nessuno lo avrebbe potuto cercare. E lui avrebbe resistito meglio alla tentazione di chiamarla. E di dirle:
“ Sappi che ci sono, anche se non ci sono più! Sappi che ci sono sempre. Anche se il mio esserci non ti basta per essere felice. Sappi che il mio amore c’è, ed è sempre al solito posto, anche se tu non lo hai mai voluto vedere. Sappi che ci sono anche se ora vivo oltre la terra e il mare. Perché a volte una persona c’è di più proprio quando sembra che non ci sia per niente! Sappi che ti amo. Anche se non te lo dico. E sappi che questa è l’unica verità che alberga nel mio cuore! Anche se a te non fa differenza se ci sia o meno.” 
Cavolo! Senza accorgersene aveva elaborato anche lui un pensiero che qualcuno avrebbe potuto citare. Prima o poi sui social sarebbero sfilate le sue frasi memorabili. E lui sarebbe stato taggato sulle bacheche e i diari di tutto il mondo. O magari un giorno avrebbe addirittura scritto un libro, un manuale dal titolo “Come conquistare Nicole in 10 mosse” che ovviamente non  avrebbe comprato nessuno perché oramai i media avrebbero diffuso la notizia che lui era quello che Nicole non lo avrebbe mai voluto.

Sorseggiando la birra e sgranocchiando due noccioline, Alex sorrideva, ripensando a quando qualche anno prima Lo Smilzo gli aveva chiesto di accompagnarlo in libreria per prendere “Il manuale del seduttore.” Si era accorto che con le tipe che puntava le sbagliava tutte e quindi si era fissato che qualche libro gli avrebbe sicuramente potuto insegnare qualcosa.

Pag. 7    “Fatti vedere sempre forte e sicuro: alle ragazze non piacciono i tipi troppo fragili!”. Primo errore: lo Smilzo sosteneva invece che alle ragazze piace la sensibilità. Cavolo. Ci può stare. Ma come la conquisti se parti sempre con la storia di te che piangi quando per sbaglio calpesti le formiche?  
Pag. 14 “Non raccontarle mai troppo di te: alle ragazze piacciono i ragazzi misteriosi, quindi falle capire tutto piano piano!” Secondo errore: Lo Smilzo al primo appuntamento raccontava già tutta la sua vita, usando sempre il gioco del “Se fosse” per descrivere tutto di sè… un colore … un animale… un film…  Finiva sempre con lei che al primo “se fosse” già sbadigliava e al terzo era già in dormi-veglia.
Pag.  22 “Guardala negli occhi quando le parli: non abbassare mai lo sguardo, con la timidezza non vai da nessuna parte!” Terzo errore: Di guardarla negli occhi, proprio non se ne parlava. La sola volta in cui ci aveva provato, lei gli aveva quasi mollato un ceffone “Ma perchè mi guardi così? Non li sopporto i ragazzi che fissano!” e da quella volta non ci aveva più provato.
Pag. 34  “Falla ridere più che puoi senza fare il buffone: le ragazze adorano i tipi simpatici. E non trasmetterle le tue ansie.”   Quarto e quinto errore: le barzellette dello Smilzo non facevano ridere nemmeno i polli, perché quando le raccontava l’unico che rideva era sempre e solo lui. E in quanto all’ansia, beh, partita persa! Allo Smilzo tremavano le mani quando gli presentavano una ragazza e sudava vergognosamente quando si agitava. Per cui, trasmettere la sua ansia era proprio la cosa che riusciva a fare meglio in quei casi.

Alla fine, capirono che era tutto inutile e dopo aver sfogliato tutti i manuali esistenti sull’argomento, avevano rinunciato, uscendo dalla libreria con due cd, una raccolta di fumetti e un gioco nuovo per la Play. Di libri nemmeno l’ombra.

Era il periodo, quello, in cui Alex aveva litigato persino con Walt Whitman.  E stare dietro alle cretinate dello Smilzo era l’unico modo per far passare il tempo e non pensare che anche i poeti potevano mettersi contro di lui. Quasi quanto l’oroscopo, del resto, visto che Marte e Saturno sembravano essersi coalizzati per fargli perdere Nicole. Per anni Whitman gi aveva come ripetuto “Eravamo insieme, tutto il resto del tempo l’ho scordato” illudendolo che anche per lei tutto potesse essere così. Poi, un bel giorno, il buon vecchio Walt se ne era uscito con “Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo lo sai che vola.. e lo stesso fiore che oggi sboccia, domani appassirà..!” con una puntualità da orologio svizzero, visto che dopo due minuti, Nicole gli aveva mandato un sms scrivendogli che quella sera sarebbe uscita con Gregorio, quello alto della 4B. E che si sentiva felice. “Porca miseria, Walt! Potevi dirmelo prima che le rose prima o poi appassiscono. Che ne capisco io di giardinaggio! A saperlo, avrei colto subito la mia!” 
E così, niente più Whitman per molti mesi. “Basta Walt! M’hai tradito pure tu!” con i pomeriggi che si riempirono di ore di sfide con la Play e panini col salame ungherese. Quelli che come li faceva esagerati la nonna dello Smilzo, che li imbottiva sempre di un botto di fette e tanta maionese, nessuna nonna al mondo.
Ad un certo punto, nell’epoca in cui i social spesso declamano versi meglio dei vecchi libri ingialliti e impolverati, nascosti in un punto dimenticato della vecchia soffitta, sul monitor del tablet era apparsa la frase “Se è tardi a trovarmi, insisti. Se non ci sono in un posto, cercami in un altro, perché io sono seduto da qualche parte, ad aspettare te!” (Walt Whitman)” e ad Alex era sembrato un messaggio subliminale del fato come a fargli intendere che non doveva mollare perché se lui avesse continuato ad aspettarla, forse lei un giorno o l’altro, sarebbe finalmente arrivata. 
Era stato un sollievo fare la pace con Whitman. Walt alla fin fine era sempre stato onesto. E un buon amico non ti mente mai, anche a costo di farti incavolare perché ti sbatte in faccia una verità che tu non vuoi sentire.

Ora era là. Da solo. Seduto sulla sedia di vimini in un bar di Edimburgo, tra facce anonime e volti sconosciuti. Si chiedeva come mai aspettarla testardamente per tutta la vita non fosse stato abbastanza per Nicole. E cosa mai avrebbe dovuto ancora inventarsi per attirare la sua attenzione, visto che tutto quello che aveva fatto per lei non era mai servito a niente. Nemmeno saperla far ridere sempre al ritmo giusto. Spesso andava a finire come sosteneva quel tale che scrisse “Mi dissero che per farla innamorare dovevo farla ridere, ma ogni volta che ride, mi innamoro io” ( cit. Tommaso Ferraris). Non era servito fare l’amico. Ignorarla. Esserci sempre. Non era servito farla arrabbiare. Ingelosirla. Sparire. 
Nicole era l’impossibile. Anche quando tutto era giusto per lei e Alex il solo in grado di renderlo perfetto. Le sue parole sempre efficaci.  Le sue canzoni sempre indovinate. Le sue battute sempre divertenti. Alex sapeva toccare sempre le corde giuste. E nel suo cuore era riuscito ad entrarci in mille occasioni in cui lei, disarmata, se avesse avuto dentro, meno ingombri e barriere, sarebbe facilmente caduta nei suoi occhi. E di quelle mille occasioni, a qualunque altra persona ne sarebbe bastata solo una per riuscire ad innamorarsi. 
Ma con Nicole no. Tutto andava troppo veloce. Lei lo faceva entrare nell’anima e se lo teneva  dentro per qualche secondo. Poi lo spingeva via. E nessuno dei due faceva in tempo ad accorgersi che anche se solo per qualche istante i loro cuori erano riusciti almeno a sfiorarsi.

Lo Smilzo una volta gli aveva detto che probabilmente l’errore era stato scegliere il supereroe sbagliato. “Superman è forte, ma Flash Gordon è più rapido. Ed è lui quello che serve per raggiungere una ragazza. Perché al cuore ci arriva più veloce della luce!” La filosofia dello Smilzo a 17 anni era tutta in queste pillole di saggezza che gli vomitava addosso, dopo l’orario di scuola, quando si sfogava con lui. Alex propendeva per Superman perché lui anche se arriva un po’ dopo, riesce a restarci lì dentro. Nell’anima. Flash no. Se ne va veloce un po’ come arriva. 
Ma altro che Superman! In quel periodo, pensandoci bene, Alex si sentiva solo Paperino che quando ci prova con Paperina, fa sempre la mossa sbagliata. Ma il personaggio giusto, il vero eroe di ogni fumetto forse dovrebbe essere semplicemente quello che in una giornata di sole riesce a trovare la pace anche se dentro ha solo tempesta. Allora prima di andare a dormire Alex sognava di essere un tipo di eroe alquanto insospettabile. 
Linus. Si proprio lui. Lui che vive di cose semplici, senza superpoteri e che, alla fine, gli basta una coperta per sentirsi protetto e un cane per essere felice. 

Misurandosi con la fitta trama di sentimenti, ricordi e rimpianti che gli attanagliava il cuore, Alex riprese il cammino, per le strade e fra la gente. Per i vicoli di una Edimburgo tanto misteriosa quanto suggestiva. Con il sottofondo del suono della cornamusa che riecheggiava da lontano. La “signora dei sogni”non era più apparsa a dargli indicazioni. Sebbene lui la attendesse al varco di ogni sogno per capirci qualcosa in più della sua strana e ambigua missione. La invocava ogni sera prima di addormentarsi nel letto del vecchio cottage del nonno dove stava soggiornando in quei giorni. Aveva sempre saputo che non venderlo dopo la sua morte, un giorno gli sarebbe tornato utile. Prima o poi avrebbe dovuto chiedersi pure chi fosse quella donna con il cagnolino che lo aveva trascinato in quella strana avventura. Ma per ora, la sola cosa che sentiva essenziale era cercare quegli occhi che gli avrebbero cominciato a dare qualche risposta. Per tutto il resto ci sarebbe stato tempo. Tanto alla fine la signora decideva sempre di testa sua quando apparire e scomparire. Doveva essere una donna bella tosta da giovane. Ma il suo volto ispirava fiducia e il suo tono di voce era rassicurante. In quel momento poteva essere sufficiente a placargli l’impazienza e affidarsi completamente a lei.

E così, quella mattina, percorse di nuovo Edimburgo da cima a fondo, come tutti i giorni di quell’aprile assonnato. Si addentrò in quella zona che poi finisce con l’alta collina di Arthur’s Seat, una montagna immersa nell’oasi verde di Holyrood Park, dove tutti narrano che arrivare in cima oltre a offrirti uno dei più bei panorami della città, ti dà una sensazione di potere irripetibile. Tipo Superman, tanto per cambiare. Alex osservò attentamente tutti quelli con cui il suo sguardo s’incrociò nelle ore successive. I passanti lungo la via. I turisti nei caffè. Le cameriere dei ristoranti. Gli artisti di strada. I soggetti nelle auto che sfrecciavano veloci anche in strade molto strette. Ma quanto corrono a Edimburgo? Ma nessuno sguardo gli trasmetteva niente di particolare. 
Poi ad un certo punto, proprio quando anche quella mattinata sembrava essere stata soltanto una amara perdita di tempo, la vita gli mostrò uno dei suoi lati più affascinanti. E cioè, la capacità di raccontare una storia che spesso ti spiega i suoi significati più nascosti non quando te li vai a cercare, bensì quando meno te li aspetti. Un po’ come fanno i libri, che certe volte tu comprendi il senso di un passaggio solo dopo avere voltato pagina ed essere andato alcuni capitoli più in là. Alex decise di avvicinarsi alla zona dove sorgeva  Calton Hill, una collina che si affaccia sulla Old Town da cui è possibile ammirare non soltanto un altro meraviglioso panorama della città, ma da dove soprattutto si può vedere il mare.

Prima di infilare un sentiero e iniziare la salita guardò distrattamente una donna anziana appoggiata su un muretto poco più in là. Sembrava sofferente. Alex non potè fare a meno di avvicinarsi. La donna sollevò lo sguardo e i suoi occhi entrarono per un attimo nei suoi. Fu un secondo. Un velocissimo e inafferrabile secondo.  E per la prima volta il ragazzo ebbe quel senso profondo di famigliarità che la ”Signora dei sogni” gli aveva raccontato in quella notte bastarda di qualche settimana prima. Come attirato da una forza ingovernabile Alex si avvicinò alla vecchietta. La donna dal volto solcato da mille rughe che nemmeno con tutta la volontà del mondo saresti mai riuscito a percorrerle tutte, protese un braccio in avanti, porgendogli la mano. 
E gli disse in un inglese un po’ incerto “Ti stavo aspettando! Finalmente sei arrivato!”

(... continua...)


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