Edimburgo non era molto diversa
da come se la ricordava lui. Princes Street divideva ancora la città in due
parti, separando la Old Town dalla New Town, come dieci anni prima, quando era
stato lì per l’ultima volta. Quasi la spaccava a metà. Un po’ come Nicole aveva
fatto col suo cuore, dividendolo in due senza prendersi nemmeno una parte. “E
adesso come le incollo!?”
Ci pensava camminando lungo la Royal
Mile, nella città vecchia. Ritornava con la memoria alle sue estati da bambino, quando vivere a Roma ma avere una
madre scozzese significava volare tra i kilt e le cornamuse ogni agosto per
trascorrere del tempo col nonno Arthur
che viveva da solo un po’ fuori città. Ricordava le interminabili passeggiate con
lui, lungo la strada che conduceva al castello. Quelle che sapevano di storia e
di whisky al malto e che odoravano di vecchie leggende di spettri e fantasmi
che continuavano a popolare i vicoli stretti che si affacciavano sulla via.
Ancora oggi, sono là. Quei vicoli. Come a tenere in vita gente che da secoli
ormai non c’è più e pezzi di un passato che il tempo non riesce in nessun modo
a portare via con sé. Nemmeno se il vento tira forte.
Quando il nonno aveva cominciato a
perdere colpi, le storie erano diventate sempre le stesse. Ma ad Alex non
dispiaceva sentirle raccontare ancora e fingersi curioso come se fosse la prima
volta. Ora gli mancava tanto suo nonno. Gi mancavano tanto anche i suoi
racconti sul tempo che va. Quelli che da bambino non ti stancheresti mai di
ascoltare, anche se non ne afferri bene il senso. Perché se pensi alla vita, a quell’età, è
guardando i cartoni in tv che ti fai le prime domande. E solo nei fumetti trovi
le risposte. Mentre i grandi ti parlano
di futuro o di malinconia, il peggior scherzo che il destino ti possa fare è la
maestra che fra le tabelline ti chiede proprio quella dell’otto che tu non
ricordi mai. E i momenti del passato da rimpiangere con nostalgia si fermano
alla ninna nanna che tua madre ti cantava per farti addormentare e a te che ti
perdevi fra le sue braccia, l’unico posto al mondo dove l’uomo nero non avrebbe
mai potuto scovarti.
Alex pensava spesso anche a lei. Sua
madre. Ai suoi capelli biondi. Alla sua voce delicata. Alla sua pelle chiara
che sapeva di lavanda. Ma faceva così male poterla soltanto ricordare, senza
poterla stringere a sé, che, il più delle volte, fingere che non fosse mai
esistita pareva il solo modo per sentire meno dolore.
Dieci anni sono troppo pochi per perdere una
madre. Margareth se ne era andata in meno di un anno per un male incurabile. Ed
Alex era rimasto per mesi a cercarla nel cielo pregando vanamente la notte di
farla scendere giù come la più luminosa delle stelle cadenti. Suo padre, che
era un facoltoso avvocato romano, tanto impegnato quanto distratto, lo aveva
sballottato da una tata all’altra, ricoprendolo di giochi prima e di soldi
dopo, senza rendersi conto che ciò che a suo figlio sarebbe servito di più non
erano bancomat e carta di credito. Ma un padre. Un padre che di tanto in tanto
gli facesse una carezza o gli chiedesse “Come stai?”.
Lui non lo aveva mai
capito e col tempo i due si erano allontanati, fin quando il ragazzo aveva
deciso di andarsene a vivere per conto suo.
Arrivando nella piazza del
castello, Alex si avvicinò al muretto che la fiancheggiava, più o meno nello
stesso punto dove il vecchio Arthur lo portava da bambino. Là, riprendevano
fiato dopo il cammino. Il vecchio gli mostrava la città vista dall’alto e gli
sciorinava le sue grandi verità, tipo quelle che sfilano oggi sui social
network tra le ricette di cucina e i link alle pagine di gossip .
“Ogni parola ha conseguenze. Ogni silenzio
anche” (Sartre) oppure “Regala la tua
assenza a chi non dà valore alla tua presenza!” (O. Wilde).
Insomma avete
capito. Quelle frasi appiccicate a foto di cieli e tramonti che se tu per vivere
meglio le seguissi alla lettera alla fine non avresti bisogno nemmeno di vivere
più perché della vita ti avrebbero già insegnato tutto quanto loro. Ecco. Il
nonno avrebbe potuto aprire un blog di massime e aforismi se solo avesse saputo
usare internet. Le conosceva tutte, frasi famose e regole di vita.
Avrebbe
potuto tenere una rubrica di consigli sui sentimenti, tipo “Posta del cuore”. E sarebbe stato persino capace di leggere il
futuro. Non nelle stelle e nemmeno nelle
mani e o nelle carte. Ma guardandosi attorno. Perché lui il destino lo
annusava. E per fiutarne il percorso, gli bastava solo concentrarsi sul suo odore. E
così avreste letto “L’Oroscopo di Arthur”. Una genialata da 1000
visualizzazioni al secondo e un botto di like al minuto. E il nonno sarebbe
diventato l’eroe dei suoi lettori, perché le avrebbe sempre azzeccate tutte e
non ne avrebbe mai sbagliata nemmeno una.
Nel punto del muretto dove Alex
si trovava in quel momento ora c’era un turista giapponese che cercava di
catturare la bellezza di quel panorama con i suoi occhi a mandorla e la sua reflex
digitale. Ma proprio nei pressi di quel blocco di pietra, il nonno era solito
fermarsi, quando aveva voglia di permettere al cuore e alla mente di
incontrarsi e prendersi per mano in chissà quale angolo remoto del suo essere.
Chiudeva gli occhi e restava in silenzio per qualche minuto. Come se non
esistesse nient’altro oltre a lui e a tutto quello che aveva dentro. Lo faceva sempre. Quasi come fosse un rito.
Poi li riapriva. E se ne usciva con la solita frase fatta di verbi e
aggettivi permeati di monumentale
solennità .
“ Figliolo, non smettere mai di guardare lontano. L’orizzonte sembra
inafferrabile, come un sogno impossibile da realizzare. Ma in realtà tutti
possiamo raggiungerlo. In fondo è solo una linea. La vita è tutto quello che
c’è oltre. Quando troverai il coraggio di oltrepassarlo e andare a prenderti quello che c’è, allora,
proprio in quel momento, sarai diventato un vero uomo!”
“Nonno! Per me tutto quello che
c’è oltre quella linea si chiama Nicole. Ha i suoi occhi. I suoi capelli. La
sua voce. E credimi sarebbe più facile toccare davvero con le mani l’orizzonte
che andare oltre a prendermi lei!”
Ecco! Chissà cosa si sarebbe
inventato il nonno per riuscire a risolvere questa sua epica impresa
impossibile. Chissà a quale poeta o scrittore avrebbe chiesto una mano per dire
la cosa giusta. E mentre lui avrebbe frugato tra i versi di una poesia per fare
il figo, Alex gli avrebbe tirato fuori la strofa di una canzone moderna per
fargli notare che di vita, a vent’anni, cominciava a capirci qualcosa anche
lui. Ma ormai il nonno non c’era più e Alex doveva arrangiarsi da solo.
Erano giorni ormai che non aveva
notizie da casa. Dopo aver rassicurato Lo Smilzo che tutto era ok e dopo
avergli ripetuto per l’ennesima volta di non raccontare niente a Nicole di quel
viaggio, aveva cambiato la scheda al cellulare e si era detto che in fondo era
meglio così. Sarebbe stato un po’ come scomparire. Come non esistere. Come
ciondolare tra il tutto e il nulla. Nessuno lo avrebbe potuto cercare. E lui
avrebbe resistito meglio alla tentazione di chiamarla. E di dirle:
“ Sappi che
ci sono, anche se non ci sono più! Sappi che ci sono sempre. Anche se il mio
esserci non ti basta per essere felice. Sappi che il mio amore c’è, ed è sempre
al solito posto, anche se tu non lo hai mai voluto vedere. Sappi che ci sono
anche se ora vivo oltre la terra e il mare. Perché a volte una persona c’è di
più proprio quando sembra che non ci sia per niente! Sappi che ti amo. Anche se
non te lo dico. E sappi che questa è l’unica verità che alberga nel mio cuore!
Anche se a te non fa differenza se ci sia o meno.”
Cavolo! Senza accorgersene aveva
elaborato anche lui un pensiero che qualcuno avrebbe potuto citare. Prima o poi
sui social sarebbero sfilate le sue frasi memorabili. E lui sarebbe stato
taggato sulle bacheche e i diari di tutto il mondo. O magari un giorno avrebbe addirittura
scritto un libro, un manuale dal titolo “Come conquistare Nicole in 10 mosse”
che ovviamente non avrebbe comprato
nessuno perché oramai i media avrebbero diffuso la notizia che lui era quello
che Nicole non lo avrebbe mai voluto.
Sorseggiando la birra e
sgranocchiando due noccioline, Alex sorrideva, ripensando a quando qualche anno
prima Lo Smilzo gli aveva chiesto di accompagnarlo in libreria per prendere “Il
manuale del seduttore.” Si era accorto che con le tipe che puntava le sbagliava
tutte e quindi si era fissato che qualche libro gli avrebbe sicuramente potuto
insegnare qualcosa.
Pag. 7 “Fatti
vedere sempre forte e sicuro: alle ragazze non piacciono i tipi troppo
fragili!”. Primo errore: lo Smilzo sosteneva invece che alle ragazze piace
la sensibilità. Cavolo. Ci può stare. Ma come la conquisti se parti sempre con
la storia di te che piangi quando per sbaglio calpesti le formiche?
Pag. 14 “Non raccontarle mai troppo di te: alle ragazze piacciono i ragazzi
misteriosi, quindi falle capire tutto piano piano!” Secondo errore: Lo
Smilzo al primo appuntamento raccontava già tutta la sua vita, usando sempre il
gioco del “Se fosse” per descrivere tutto di sè… un colore … un animale… un
film… Finiva sempre con lei che al primo
“se fosse” già sbadigliava e al terzo era già in dormi-veglia.
Pag. 22 “Guardala
negli occhi quando le parli: non abbassare mai lo sguardo, con la timidezza non
vai da nessuna parte!” Terzo errore: Di guardarla negli occhi, proprio non
se ne parlava. La sola volta in cui ci aveva provato, lei gli aveva quasi
mollato un ceffone “Ma perchè mi guardi così? Non li sopporto i ragazzi che
fissano!” e da quella volta non ci aveva più provato.
Pag. 34 “Falla
ridere più che puoi senza fare il buffone: le ragazze adorano i tipi simpatici.
E non trasmetterle le tue ansie.” Quarto e quinto errore: le barzellette dello
Smilzo non facevano ridere nemmeno i polli, perché quando le raccontava l’unico
che rideva era sempre e solo lui. E in quanto all’ansia, beh, partita persa!
Allo Smilzo tremavano le mani quando gli presentavano una ragazza e sudava
vergognosamente quando si agitava. Per cui, trasmettere la sua ansia era
proprio la cosa che riusciva a fare meglio in quei casi.
Alla fine, capirono che era tutto
inutile e dopo aver sfogliato tutti i manuali esistenti sull’argomento, avevano
rinunciato, uscendo dalla libreria con due cd, una raccolta di fumetti e un
gioco nuovo per la Play. Di libri nemmeno l’ombra.
Era il periodo, quello, in cui
Alex aveva litigato persino con Walt Whitman.
E stare dietro alle cretinate dello Smilzo era l’unico modo per far
passare il tempo e non pensare che anche i poeti potevano mettersi contro di
lui. Quasi quanto l’oroscopo, del resto, visto che Marte e Saturno sembravano
essersi coalizzati per fargli perdere Nicole. Per anni Whitman gi aveva come
ripetuto “Eravamo insieme, tutto il resto
del tempo l’ho scordato” illudendolo che anche per lei tutto potesse essere
così. Poi, un bel giorno, il buon vecchio Walt se ne era uscito con “Cogli la rosa quando è il momento, che il
tempo lo sai che vola.. e lo stesso fiore che oggi sboccia, domani
appassirà..!” con una puntualità da orologio svizzero, visto che dopo due
minuti, Nicole gli aveva mandato un sms scrivendogli che quella sera sarebbe
uscita con Gregorio, quello alto della 4B. E che si sentiva felice. “Porca
miseria, Walt! Potevi dirmelo prima che le rose prima o poi appassiscono. Che
ne capisco io di giardinaggio! A saperlo, avrei colto subito la mia!”
E così,
niente più Whitman per molti mesi. “Basta Walt! M’hai tradito pure tu!” con i
pomeriggi che si riempirono di ore di sfide con la Play e panini col salame
ungherese. Quelli che come li faceva esagerati la nonna dello Smilzo, che li
imbottiva sempre di un botto di fette e tanta maionese, nessuna nonna al mondo.
Ad un certo punto, nell’epoca in
cui i social spesso declamano versi meglio dei vecchi libri ingialliti e
impolverati, nascosti in un punto dimenticato della vecchia soffitta, sul
monitor del tablet era apparsa la frase “Se
è tardi a trovarmi, insisti. Se non ci sono in un posto, cercami in un altro,
perché io sono seduto da qualche parte, ad aspettare te!” (Walt Whitman)” e
ad Alex era sembrato un messaggio subliminale del fato come a fargli intendere
che non doveva mollare perché se lui avesse continuato ad aspettarla, forse lei
un giorno o l’altro, sarebbe finalmente arrivata.
Era stato un sollievo fare la
pace con Whitman. Walt alla fin fine era sempre stato onesto. E un buon amico
non ti mente mai, anche a costo di farti incavolare perché ti sbatte in faccia
una verità che tu non vuoi sentire.
Ora era là. Da solo. Seduto sulla
sedia di vimini in un bar di Edimburgo, tra facce anonime e volti sconosciuti.
Si chiedeva come mai aspettarla testardamente per tutta la vita non fosse stato
abbastanza per Nicole. E cosa mai avrebbe dovuto ancora inventarsi per attirare
la sua attenzione, visto che tutto quello che aveva fatto per lei non era mai
servito a niente. Nemmeno saperla far ridere sempre al ritmo giusto. Spesso andava
a finire come sosteneva quel tale che scrisse “Mi dissero che per farla innamorare dovevo farla ridere, ma ogni volta
che ride, mi innamoro io” ( cit. Tommaso Ferraris). Non era servito fare l’amico.
Ignorarla. Esserci sempre. Non era servito farla arrabbiare. Ingelosirla. Sparire.
Nicole era l’impossibile. Anche quando tutto era giusto per lei e Alex il solo
in grado di renderlo perfetto. Le sue parole sempre efficaci. Le sue canzoni sempre indovinate. Le sue
battute sempre divertenti. Alex sapeva toccare sempre le corde giuste. E nel
suo cuore era riuscito ad entrarci in mille occasioni in cui lei, disarmata, se
avesse avuto dentro, meno ingombri e barriere, sarebbe facilmente caduta nei
suoi occhi. E di quelle mille occasioni, a qualunque altra persona ne sarebbe
bastata solo una per riuscire ad innamorarsi.
Ma con Nicole no. Tutto andava
troppo veloce. Lei lo faceva entrare nell’anima e se lo teneva dentro per qualche secondo. Poi lo spingeva
via. E nessuno dei due faceva in tempo ad accorgersi che anche se solo per
qualche istante i loro cuori erano riusciti almeno a sfiorarsi.
Lo Smilzo una volta gli aveva
detto che probabilmente l’errore era stato scegliere il supereroe sbagliato.
“Superman è forte, ma Flash Gordon è più rapido. Ed è lui quello che serve per
raggiungere una ragazza. Perché al cuore ci arriva più veloce della luce!” La
filosofia dello Smilzo a 17 anni era tutta in queste pillole di saggezza che gli
vomitava addosso, dopo l’orario di scuola, quando si sfogava con lui. Alex
propendeva per Superman perché lui anche se arriva un po’ dopo, riesce a
restarci lì dentro. Nell’anima. Flash no. Se ne va veloce un po’ come arriva.
Ma altro che Superman! In quel periodo, pensandoci bene, Alex si sentiva solo
Paperino che quando ci prova con Paperina, fa sempre la mossa sbagliata. Ma il
personaggio giusto, il vero eroe di ogni fumetto forse dovrebbe essere
semplicemente quello che in una giornata di sole riesce a trovare la pace anche
se dentro ha solo tempesta. Allora prima di andare a dormire Alex sognava di
essere un tipo di eroe alquanto insospettabile.
Linus. Si proprio lui. Lui che
vive di cose semplici, senza superpoteri e che, alla fine, gli basta una
coperta per sentirsi protetto e un cane per essere felice.
Misurandosi con la fitta trama di
sentimenti, ricordi e rimpianti che gli attanagliava il cuore, Alex riprese il
cammino, per le strade e fra la gente. Per i vicoli di una Edimburgo tanto
misteriosa quanto suggestiva. Con il sottofondo del suono della cornamusa che
riecheggiava da lontano. La “signora dei sogni”non era più apparsa a dargli
indicazioni. Sebbene lui la attendesse al varco di ogni sogno per capirci
qualcosa in più della sua strana e ambigua missione. La invocava ogni sera
prima di addormentarsi nel letto del vecchio cottage del nonno dove stava
soggiornando in quei giorni. Aveva sempre saputo che non venderlo dopo la sua
morte, un giorno gli sarebbe tornato utile. Prima o poi avrebbe dovuto
chiedersi pure chi fosse quella donna con il cagnolino che lo aveva trascinato
in quella strana avventura. Ma per ora, la sola cosa che sentiva essenziale era
cercare quegli occhi che gli avrebbero cominciato a dare qualche risposta. Per
tutto il resto ci sarebbe stato tempo. Tanto alla fine la signora decideva
sempre di testa sua quando apparire e scomparire. Doveva essere una donna bella
tosta da giovane. Ma il suo volto ispirava fiducia e il suo tono di voce era
rassicurante. In quel momento poteva essere sufficiente a placargli l’impazienza
e affidarsi completamente a lei.
E così, quella mattina, percorse
di nuovo Edimburgo da cima a fondo, come tutti i giorni di quell’aprile
assonnato. Si addentrò in quella zona che poi finisce con l’alta collina di
Arthur’s Seat, una montagna immersa nell’oasi verde di Holyrood Park, dove
tutti narrano che arrivare in cima oltre a offrirti uno dei più bei panorami
della città, ti dà una sensazione di potere irripetibile. Tipo Superman, tanto
per cambiare. Alex osservò attentamente tutti quelli con cui il suo sguardo s’incrociò
nelle ore successive. I passanti lungo la via. I turisti nei caffè. Le
cameriere dei ristoranti. Gli artisti di strada. I soggetti nelle auto che
sfrecciavano veloci anche in strade molto strette. Ma quanto corrono a
Edimburgo? Ma nessuno sguardo gli trasmetteva niente di particolare.
Poi ad un
certo punto, proprio quando anche quella mattinata sembrava essere stata
soltanto una amara perdita di tempo, la vita gli mostrò uno dei suoi lati più
affascinanti. E cioè, la capacità di raccontare una storia che spesso ti spiega
i suoi significati più nascosti non quando te li vai a cercare, bensì quando
meno te li aspetti. Un po’ come fanno i libri, che certe volte tu comprendi il
senso di un passaggio solo dopo avere voltato pagina ed essere andato alcuni
capitoli più in là. Alex decise di avvicinarsi alla zona dove sorgeva Calton Hill, una collina che si affaccia
sulla Old Town da cui è possibile ammirare non soltanto un altro meraviglioso
panorama della città, ma da dove soprattutto si può vedere il mare.
Prima di infilare un sentiero e iniziare
la salita guardò distrattamente una donna anziana appoggiata su un muretto poco
più in là. Sembrava sofferente. Alex non potè fare a meno di avvicinarsi. La
donna sollevò lo sguardo e i suoi occhi entrarono per un attimo nei suoi. Fu un
secondo. Un velocissimo e inafferrabile secondo. E per la prima volta il ragazzo ebbe quel
senso profondo di famigliarità che la ”Signora dei sogni” gli aveva raccontato
in quella notte bastarda di qualche settimana prima. Come attirato da una forza
ingovernabile Alex si avvicinò alla vecchietta. La donna dal volto solcato da
mille rughe che nemmeno con tutta la volontà del mondo saresti mai riuscito a
percorrerle tutte, protese un braccio in avanti, porgendogli la mano.
E gli
disse in un inglese un po’ incerto “Ti stavo aspettando! Finalmente sei
arrivato!”
(... continua...)
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